Salve Klaus, inizierei, se sei d’accordo, con il tuo ultimo lavoro discografico «Panta rei». Innanzitutto, perché hai scelto il celebre aforisma di Eraclito come titolo?
Perché avrei voluto che il brano da cui l’album ho preso il titolo, diventasse una sorta di potente esortazione ad andare avanti nonostante i baratri nel quale cadiamo. Mi piace pensare che sia un dovere di tutti ricordare a noi stessi, attraverso arte e musica, che dopo le peggiori tempeste, risplendono i migliori arcobaleni. Sono certo di aver disseminato questo album con il massimo spettro emotivo possibile e di aver generato il mio miglior sfogo creativo. A volte l’ho fatto sussurrando intimamente note e parole, a volte l’ho fatto gridando con veemenza.
Cosa rappresenta per te questo disco?
Un genuino e sincero spaccato di vita senza filtri, una sorta di confronto musicale con me stesso, una competizione interiore per raggiungere una nuova personale vetta artistica. Si tratta di una caleidoscopica raccolta di brani incastonati dentro un arzigogolo fantasioso nel quale volevo “mimetizzare” il mio racconto autobiografico. La mia speranza era che in molti ci si potessero identificare e di essere riuscito a rappresentare una grande diversità di sfaccettature emotive. Spero quindi di averlo fatto in maniera credibile, anche quando si trattava di stati emotivi opposti e… “dissonanti” tra loro come delicatezza e irriverenza, disperazione e ironia, dramma e romanticismo, becero disincanto e ostentata autocelebrazione. Credo di essermi dunque messo, per così dire, coraggiosamente a nudo, anzi di essermi «confessato», sviscerando i miei più reconditi spaccati emotivi.
Musicajazz